Il primo pensiero accendere il fuoco, il primo desiderio esaudito: scoppiettando, la stufa ci rincuora e la stanchezza svanisce, rimane solo l’incognita della perturbazione, nel cui occhio ormai siamo entrati in pieno. Grazie all’insperata scorta d’acqua, Gianni prepara un’abbondante minestra di verdure ed a questo punto diamo fondo alle scorte, dovendoci solamente preoccupare di avere provviste sufficienti per il giorno successivo. Certo, è proprio vero, i nostri giudizi quotidiani dipendono quanto mai dal nostro stato d’animo: quello che poteva sembrarci uno squallido ricovero, per il solo fatto di intravedere la realizzazione di un sogno, diventa improvvisamente una reggia! E i sacchi a pelo distesi su quei materassi polverosi e ammuffiti, di colpo si trasformano in un letto regale… ed anche l’urlo del vento sul tetto del vecchio ricovero assume le dolci tonalità di una tranquillizzante ninna-nanna…. Tra le fessure della finestra i lampi mi risvegliano, i tuoni mi assillano e la pioggia sul tetto malandato mi riportano al presente nel pieno della notte. Non basta uscire a vuotare la vescica per tranquillizzarmi, anzi i bagliori di quella notte spettacolare rimangono tuttora impressi nella mia mente, come l’eterna lotta tra lo sciogliersi del brutto tempo e il rinvigorirsi della perturbazione. E’ ancora notte quando ci alziamo per quello che sarà comunque l’ultimo giorno, non dobbiamo perdere l’occasione, troppo eccitante partire tra gli ultimi lampi ed i primi squarci di sereno, troppo emozionante continuare l’avventura appesi a quel cielo infernale! |
Il primo tratto pianeggiante, la prima salita ed ecco la vetta del Monte Faraut (3042m). Mentre il tempo sembra concederci una tregua, quasi di corsa scendiamo alla prima insellatura verso est per risalire alla vetta del Monte Reghetta (m.2961, quasi un tremila ma, appunto per questo, non conteggiato…). Ormai la lunga cresta percorsa nei giorni precedenti ci appare nella sua totalità e ci stupisce sempre più la nostra galoppata: il morale è alle stelle, l’adrenalina per la spettacolare alba ci esalta, tutto sembra essere perfetto in quell’alba radiosa! Tra le rocce la discesa alla successiva breccia ed ancora rimontare una faticosa pietraia tra le tracce delle ultime pecore ed i primi camosci…. Uno sguardo al cielo e quello che appena prima ci appariva celestiale diventa di piombo, i primi goccioloni ci battono il viso e il vento ci scuote la schiena, riportandoci alla dura verità: ci aspettano ancora tra la tempesta altre quattro vette (Sebolet, Marchisa, Chersogno, Pelvo) oltre i tremila… Un po’ penosamente raggiungo la Cima Sebolet (3018m) ed è lì che Gianni, vedendomi in difficoltà, mi incita a nutrirmi, perché sa benissimo che pur non sentendo lo stimolo, il corpo sotto la pioggia continua a disidratarsi e a consumare… Siamo nell’occhio del temporale ed è giusto, constatiamo, che, dopo essere stati baciati dalla fortuna nei primi difficili giorni della traversata, ci venga chiesto di saldare il conto! Quasi senza vedere nulla scendiamo alla successiva insellatura ed ecco che, con un fiuto che sono costretto a riconoscermi, scelgo di evitare la discesa verso il Colle di Vers dal lato del vallone di Verzio (facile, ma pericolosa per le infide rocce lisce che la caratterizzano) per preferire il vallone di Traversiere, molto movimentato ma più sicuro. Dal colle, sempre sotto la pioggia, con pazienza e tra grossi massi raggiungiamo finalmente Rocca la Marchisa (3074m): abbiamo timore nel sorreggerci alla croce per l’elettricità che attraversa l’aria e velocemente abbandoniamo la vetta, avviandoci quasi con sollievo verso il Colle delle Sagne. Improvvisamente noto che il campo del cellulare dà segni di vita e quasi meccanicamente cerco qualcuno che possa aiutarci nel recupero dell’auto quando saremo (se arriveremo!) al Colle della Bicocca: non mi viene in mente nessuno, nessuno a cui possa chiedere un favore tanto grande… Quasi d’istinto compongo il numero di Jennie, colei che gestisce la locanda Mascha Parpaja al Preit, perché so che, se potrà, farà sicuramente qualcosa. Nella concitazione del momento, la supplico di farci trovare qualcuno per l’una al Colle della Bicocca, ma non mi rendo conto che praticamente abbiamo ancora quasi tutto il trittico di Elva (Marchisa, Chersogno, Pelvo) da compiere, fatica che normalmente richiede da sola una giornata intera per buoni camminatori….. In discesa, quasi d’incanto il cielo si apre ed appare, seppur flebile, il sole d’agosto. Fradici come pulcini, ci rendiamo conto che i lunghi pantaloni inzuppati non asciugheranno mai e resteranno per sempre d’impaccio: dobbiamo liberarcene! Ecco allora che ringrazio il presentimento della sera prima, quando al calore della stufa avevo rinchiuso ermeticamente in un sacchetto un cambio asciutto di pantaloncini corti e maglietta: molto meglio un abbigliamento leggero che uno pesante ma fradicio! L’ennesima risalita ad un colle, il Passo Chersogno e, tra nuvoloni che lasciano filtrare il sole, la vetta del Monte Chersogno (3024m). Un ambiente surreale accoglie lo sguardo di chi è consapevole d’avercela quasi fatta ma, un po’ per scaramanzia, non accenniamo a nessun sussulto di gioia, bensì ripartiamo velocemente, pur con tutt’altro stato d’animo di quando avevamo lasciato Rocca la Marchisa! Cerco di avvisare che non saremo sicuramente al Colle della Bicocca per l’una, ma, nell’unico momento in cui il cellulare ci permette di comunicare, apprendo che Beppe, il marito di Jennie, è già là ad attenderci! Purtroppo non posso far nulla, neppure avvisarlo che tarderemo…. Mi dispiace di aver toppato completamente l’orario, ma d’altronde non me la sarei sentita di aggiungere ancora alla traversata i 5-6 chilometri che ci avrebbero permesso di raggiungere il Colle Sampeyre! Ormai, pur con le gambe dure, leggeri raggiungiamo il Lago Camoscere e, per l’ultima volta, affrontiamo una salita, quella che ci porterà anche all’ultimo dei 24 tremila, il Pelvo d’Elva. Sembra più lungo quell’ultimo tratto: è vero, siamo più stanchi ma credo che in fondo vogliamo anche diluire e assaporare la gioia per aver portato a termine la nostra piccola-grande impresa…. |
Finalmente la croce sulla vetta del Pelvo d'Elva (3061m) ed ora sì, ci stringiamo la mano, quelle mani che ci hanno aiutato vicendevolmente per sei giorni, ma che sono state forse meno importanti della nostra amicizia, nata per una vicenda fortuita ma non casualmente cementata….. Una foto ancora e rimane solo la discesa, le gambe scorrono da sole, ma ci imponiamo prudenza, perché sappiamo benissimo che l’ultimo tratto è sempre il più pericoloso e lo è ancor più quel giorno, in cui le lisce pietre sono ormai sapone… Ormai siamo sotto i 2500 metri, così in basso non lo siamo mai stati negli ultimi giorni e una coltre di nebbia ci avvolge, ovatta il nostro avanzare e con esso i nostri pensieri: ritroviamo l’erba dei prati, sentiamo il dimenticato odore dei larici, alle tre e mezzo del pomeriggio siamo al Colle della Bicocca (2287m)! Beppe, pensando che fossimo scesi da un altro lato, per poco non era tornato a casa: sarebbe stato un disastro affrontare ancora tutto quel saliscendi! Ma invece no, grazie alla costanza di Beppe, anche l’ultimo appuntamento è stato splendidamente rispettato e finalmente la stretta di mano e un sorriso suggella quella splendida avventura che è stata la nostra traversata appesi al cielo, appesi al filo dei TREMILA…. |